Henry Scorner

Photography Jordi A. Bello Tabbi
Styling and Grooming Giulio Cascini
Special Thanks TWM Factory

DIGITAL COVER STORY

Henry Scorner 
Sculptures Flamboyant Flamingos” by Alberto Maggini

Interview Jordi A. Bello Tabbi

Su social media come tiktok é sempre più comune fruire di contenuti girati da creators con disabilità, fenomeno che ha aiutato tantissimo la sensibilizzazione su determinati argomenti. Credi che i social siano il giusto canale per poter conoscere persone e realtà che quotidianamente fanno fatica a emergere sui media tradizionali?
Il bello dei social è che consentono a tutti di avere i famosi ”15 minuti di celebrità” di cui parlava Warhol ma è proprio questo il punto: se hai una storia da raccontare il tuo timer si ferma e puoi sederti a raccontare la tua storia sul palco, se non hai nulla da dire fai il tuo balletto e cala il sipario subito dopo. È vero che siamo sommersi da un marasma in continuo aumento di contenuti, ogni giorno nasce un trend e ogni settimana c’è la notizia virale che diventerà un tormentone per i 3 mesi successivi ma quello che distingue queste cose superficiali da chi veramente vuole lanciare un messaggio tramite il web è una cosa: la costanza. Tramite i media tradizionali (quindi mi viene in mente la stampa o la televisione) è difficile ottenere un proprio spazio in cui, quotidianamente, puoi parlare in prima persona ad una vasta platea. Con i servizi di qualche minuto passati in televisione in cui viene trattata la diversità cosa si ottiene? Poco e niente. Sono come una goccia che cade su una roccia: la bagna ma non appena ritorna il sole (e quindi quando sopraggiunge il servizio successivo) si asciuga. Sui social un’attivista puo’ far cadere una gocciolina al giorno sulla roccia e solo tramite questa costanza e questo rapporto 1:1 con lo spettatore riuscirà a scavare la roccia condividendo messaggi e contenuti di spessore. Vedo TikTok come un terreno ricco di potenzialità e trovo fantastico il fatto che l’algoritmo consigli a ciascuno di noi contenuti scelti ad hoc in linea con i nostri gusti.

Che tipo di rapporto si crea invece con gli haters?
Personalmente ho un rapporto abbastanza paradossale con ”l’odio” che ricevo sul web. Si passa dalle persone che mi accusano di usare la mia disabilità per attirare l’attenzione a quelle che pensano che io abbia due mani come tutti ma che uso dei filtri in post produzione per crearmi un’immagine distorta. Cosa dovrei fare davanti a queste persone? Come dovrei pormi? Cosa dovrei dirgli? Io non riesco a far altro che ridere (e rispondere con ironia e sarcasmo, ovvio). Questo è il mio corpo, questa è la mia non-mano: sono nato cosí e dopo essermi nascosto per tanti anni, ora voglio mostrarmi come e quando voglio senza dovermi giustificare con nessuno. Fino a che viene mossa una critica costruttiva, un consiglio o una qualsiasi indicazione è fondamentale prendere nota e cercare di migliorarsi ma quando ti trovi davanti ad insulti mossi da persone che nemmeno ti conoscono bisogna farsi entrare il commento da un orecchio e farlo uscire dall’altro in mezzo secondo.

Tu sei un grande estimatore del mondo dello spettacolo, delle grandi dive contemporanee. Il pop internazionale ha degli elevati beauty standards: come pensi che lo star system possa essere alleato in un periodo storico in cui la body positivity e la rivendicazione delle proprie identità è così forte?
Pensi ci sia abbastanza rappresentazione?
Sono cresciuto ammirando e plasmando la  mia personalità con alcune delle più grandi dive: da Marilyn Monroe, Audrey Hepburn e Madonna a Sandra Milo e Raffaella Carrà. Grandi donne, grandissime personalità ma tutte con quella stupenda capacità di essere camaleontiche e di giocare con la propria immagine senza  prendersi troppo sul serio. Il fenomeno del divismo, dopo l’avvento dei social, è oggettivamente finito. ”Il divo” era un’entità quasi impercettibile, lontana, inarrivabile ma con i social siamo tutti connessi, vicini anche se lontanissimi. Tutti possiamo vedere quello che le celebrità più quotate stanno facendo in qualsiasi momento e quell’aura di inarrivabilità non é più presente. Smontato il divismo ora lo star system è, per forza di cose, meno lontano e inarrivabile. Come dicevo prima: siamo in un’era in cui possiamo essere autori di noi stessi e non è più fondamentale un grande produttore che ti lanci al grande pubblico, se al pubblico piaci per quello che sei, per quello che racconti e rimani trasparente e coerente con i tuoi ideali hai fatto tombola. Vero è che c’è ancora tanto scetticismo da parte dei media tradizionali verso le personalità nate dal web, specie se diverse ”dai canoni tradizionali”. Penso che una grande transizione si stia sviluppando proprio in questi anni grazie ai social, vedo sempre più interesse verso la diversità nel mondo e credo che arriveremo presto ad un punto in cui la diversità sarà la parola chiave delle nuove generazioni televisive/cinematografiche.

Allo stesso modo pensi che nel cinema e nella televisione si stia arrivando a un momento in cui la scelta di personaggi queer o con fisicità non conformi a quelli tradizionali sia fatta con più naturalità e non come trovate di marketing?
Non mi è mai piaciuta la parola ”Inclusione” e da quando la sento spiattellata ovunque ogni giorno la sopporto ancora meno. ”Includere” vuol dire aggiungere ad un insieme già esistente e coeso: io non voglio essere aggiunto io voglio essere PARTE DI. Sicuramente tante realtà stanno cavalcando l’onda queer per allargare i propri target di vendita ma si vede se una mossa del genere è fatta solo con scopi commerciali o se vi è un interesse da parte del brand di allargare i propri orizzonti ed evolversi. Credo sia necessario mostrare la diversità senza ghettizzarla, senza rinchiuderla in un recinto su cui puntare un riflettore quando le vendite non vanno bene. La diversità è normalità e fino a che non si riuscirà a metabolizzare questo concetto rimarremo in questo limbo di marketing targhettizzato terribile.

total look Simon Cracker

A noi tutti piacciono i meme e l’umorismo del web sa essere tanto divertente quanto spietato. Cosa pensi del “politicamente corretto”?
Penso che sia importante avere una propria opinione ma penso soprattutto che sia importante saperla motivare coerentemente. A volte si ha paura di esporsi troppo e si cerca la via sicura dell’ opinione comune/ politicamente corretta pur di non andare a toccare tasti dolenti che possono alzare polveroni. In linea generale prima di parlare [soprattutto sul web] credo che noi tutti dovremmo contare almeno almeno fino a 10 ed assicurarci di saperne abbastanza sull’argomento che si sta trattando prima di vomitate sulla tastiera parole SIA politicamente corrette SIA politicamente scorrette.

Ritieni che la comicità sia uno strumento per normalizzare concetti complessi?
Assolutamente sí: a partire dall’auto-ironia ritengo che la comicità sia in grado di creare connessioni davvero spettacolari. Ho nascosto una parte di me per tanti anni, tantissimi, ma da quando ho iniziato a prendermi meno sul serio e ho capito che là fuori siamo tutti diversi la mia vita è cambiata. Io ritengo che bisogna fare comicità su cose che ci appartengono, su cose che conosciamo e ci riguardano: riuscendo a ridere di noi stessi riusciremo a comunicare agli altri cose che con un discorso normale faremmo fatica o si creerebbe dell’imbarazzo. La comicità deve venire ”dal basso” e mai ”dall’alto”, non deve mai giudicare ma deve farti riflettere e, perchè no, lasciarti un po’ di amaro in bocca e farti sentire preso in causa!

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