Lolita

Photography Michele Arrabbito
Styling Antonio Pulvirenti
Make Up Nicole Berardi

Interview Chiara Buoni

Perché hai scelto Lolita come nome d’arte?
Quando ho scritto “Lolita”, un pezzo uscito circa tre anni fa, l’ho subito fatto ascoltare a Guè (Gué Pequeno), il mio coach di The voice. Lui mi disse “ma lo sai che hai proprio qualcosa da Lolita?” e così ho cominciato a riflettere su questo nome, su quanto rimandi al concetto di fanciullezza. Alla fine ho compreso che di me poteva rappresentare bene immaginario, timbro vocale e attitudine. 

Quando hai cominciato a lavorare alla tua musica pensavi di voler fare pop alternativo?
Non pensavo sarebbe stata tanto pop quanto alternativa. All’inizio assieme a mio fratello componevamo un duo molto alternativo, in cui le voci tendevano a essere estetizzate mentre le sonorità ricordavano quelle nordiche ̶ eravamo davvero “poco italiani”. Poi, scegliendo di scrivere in italiano e costruendo una dimensione musicale più personale, ho voluto sperimentare il pop alternativo. La questione linguistica è stata decisiva. L’inglese è la lingua dei miei artisti preferiti, ed è per questo che quando ho iniziato a scrivere mi è sembrato naturale farlo in inglese, inoltre era perfetto per quelle sonorità. Però ha anche delineato una zona di comfort, allontanandomi dalle difficoltà della scrittura nella mia lingua. Credo sia più difficile scrivere in italiano che in inglese. Ecco da cosa deriva il desiderio di mettermi alla prova, aiutata da professionisti come Mara Maionchi e Alberto Salerno, persone che hanno scritto brani storici della musica italiana. Con loro ho imparato che nella mia difficoltà di scrivere in italiano non c’era tanto un gusto artistico quanto una resistenza profonda. Grazie al percorso insieme, oggi posso dire che scrivere in italiano è magnifico, al punto che da una sfida si è trasformato in una necessità. 

Quali sono i momenti più importanti del tuo percorso musicale finora?
Riconosco ai talent un ruolo fondamentale nella mia formazione musicale, ma lo è stato altrettanto uscirne e rendermi conto di quanto è difficile la vita lavorativa dopo. Ho fatto i conti con la realtà: la musica e la carriera di chi fa musica dipendono dall’impegno quotidiano nel lavoro, nel capire se e come si ha qualcosa da dire, nel trovare la propria dimensione. In questo senso, per me è stato decisivo il risveglio del giorno successivo in cui avevo concluso il talent. Mi sono chiesta: “Voglio fare davvero musica nella vita oppure ho voluto soltanto stare in televisione?”. Da qui in poi, con la quotidianità degli ultimi anni a Milano, ho trovato delle risposte. In questa città la competizione, all’inizio sconvolgente, può diventare l’elemento che ti sprona ogni giorno a migliorare. Forse soltanto Milano dona questo tipo di coscienza lavorativa.

Cosa vuoi trasmettere attraverso l’estetica del progetto musicale?
Sin dal principio, l’estetica del progetto ha assunto la forma di un sogno fanciullesco che ora è anche assolutamente italiano. E poi l’estetica da luna di miele e lolitesca si sposa molto bene con l’immaginario delle dive italiane di altri tempi: vorrei mettere insieme il sogno italiano rétro con una musica in cui voce la femminile risulti più strafottente. “Regina” e “Comprami” sono piuttosto esplicativi, inducendo a prendere consapevolezza della propria femminilità e sensualità, contro ogni passività.

Su Instagram hai scritto che la tua cover di “Comprami” di Viola Valentino, uscita lo scorso 3 marzo, è una piccola vendetta. Verso chi? Cos’è accaduto?
Ognuno la interpreta come preferisce, ma nel mio caso si applica a tutte le aree relazionali. Quante volte è finita un’amicizia? Quante volte non ho avuto la possibilità in cui speravo? “Comprami” dice di no a chi non c’è stato, quando ne avevamo bisogno, e torna a chiedere un’altra chance. 

C’è un tuo pezzo particolarmente fluido sia per il testo sia per la melodia?
“Regina” perché è dedicato al lasciarsi andare, al fluire liberamente. Questo mi fa pensare che essere consapevoli della propria femminilità forse significa anche riconoscere in sé una parte maschile. Quando esprimo di più la mia femminilità, percependomi completamente connessa a me stessa, e quindi a ogni mia parte interiore, sento emergere un’attitudine maschile. 

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