Fearlessly Outspoken: Pierluca Mariti

Photography Gioele Vettraino
Styling Emi Marchionni
Make Up and Hair Simona Mari @MakingBeautyManagement

Pierluca GDG Press Office

DIGITAL COVER STORY

Pierluca Mariti wears Coat CRML Jacket and trousers Labo.art

Interview Alice Mazzali

Ti occupi di molte cose: lavori con i social, stai portando il tuo spettacolo nei teatri di tutta Italia, hai fatto un podcast. Come sei arrivato fin qui?
Lavoro nella comunicazione e nell’intrattenimento, mi considero un comico. Scrivo e porto davanti a un pubblico dei monologhi leggeri, ma lavoro anche sui social come creatore di contenuti e influencer – quindi come persona che, oltre a un suo racconto, comunica anche per dei brand. Sono diverse cose tutte insieme, non ho un unico job title. L’ho avuto prima di cambiare vita, quando ero project manager per Ikea. Il momento di svolta è stato il lockdown, un periodo in cui c’era l’esigenza di creare dei contenuti sul canale del brand per comunicare alle persone come vivere nel migliore dei modi le case dove in quel momento svolgevamo tutte le nostre attività. Mi dicevano “tu sei spigliato” ma non era vero, mi sentivo male all’idea di parlare davanti a migliaia di persone. Allora ho deciso di mettermi alla prova sul mio profilo personale, che in quel momento seguivano solo i miei amici. Ho capito di avere delle idee, cominciato a creare sempre più contenuti, finché la cosa è cresciuta e ha preso la sua strada. 

Prima di questa esplosione creativa ti eri già formato in qualche modo artisticamente o sei improvvisamente cresciuto negli ultimi tre anni?
Avevo fatto teatro durante gli anni del liceo, quindi molti anni fa. Mi sarebbe piaciuto continuare a studiare recitazione, ma i miei genitori consigliavano di fare qualcosa di più tradizionale, così mi sono iscritto a Giurisprudenza. Dopo aver ricevuto una porta in faccia durante l’audizione per il gruppo teatrale dell’università, ho accantonato in maniera definitiva quell’ambizione. Ci ero rimasto malissimo e quindi ho lasciato perdere fino a qualche mese prima del lockdown. In quel periodo avevo compiuto trent’anni e mi sentivo asfissiato da una vita fatta di solo ufficio, perciò mi sono iscritto a una scuola di stand-up comedy. È stato utile, ma è durato poco perché nel 2020 ovviamente il corso si è fermato. Perciò sì, riconosco una certa “esplosione” artistica.

Molto di quello che tu fai accade su Instagram. Dove credi che stia andando questo social network? Come sta cambiando?
Viene dato molto più spazio all’intrattenimento, sulla scia di TikTok, anche penalizzando il sistema del following. Se prima Instagram funzionava come un palinsesto, per cui si poteva davvero decidere ciò che era interessante e seguirlo, oggi arrivano sempre più contenuti non connessi alle richieste e spariscono quelli che invece abbiamo scelto. Credo che con il tempo, essendosi allargata la platea di utenti, sia cambiata la fruizione di certi social, ed è successo in un modo che non condivido e cioè quello della critica, della cattiveria gratuita. Io non ho degli hater, ma perché? Perché sono un uomo. Difficilmente sotto una mia foto vengono a commentare il mio corpo. È una questione sistemica: in quanto uomo ho più fortuna, e anche come comico. Dalle donne invece ci si aspetta sempre una compostezza. 

Secondo te i social oggi sono dei mezzi che permettono di esprimere la fluidità? In questo senso stanno aiutando le nuove generazioni a esprimersi?
Io credo di sì. Sono un millennial e da piccolo i miei modelli di riferimento erano molto limitati, rispecchiavano gli stereotipi di genere. Se c’era un modello alternativo, tendenzialmente era presentato come uno strano animale da circo. Instagram ha fatto sì che emergessero maniere diverse di vivere e di rappresentarsi, non senza far rumore. Tuttora chi sceglie di vivere quella radicalità si prende anche il peso delle conseguenze che la società gli fa pagare, però i social hanno portato alla luce queste rappresentazioni e hanno fatto in modo che arrivassero anche ai mezzi di comunicazione più tradizionali come la televisione. Non dico che Instagram sia uno spazio sicuro, ma di certo è uno spazio plurale e questo perché la creazione di contenuti è individuale. Può essere molto complicato convincere quaranta dirigenti televisivi a mettere in una serie tv una persona trans non nel ruolo di una prostituta morta, per esempio, ma in un ruolo di protagonista qualsiasi, con una profondità di carattere. Su Instagram invece chiunque può presentarsi per quello che è e il pubblico sceglie di vederne la complessità.

E fuori dai social network? Le cose stanno cambiando?
Il mondo dello spettacolo e dell’arte è sempre un passo avanti rispetto alla società: l’arte o scandalizza o è mera decorazione. Il cambiamento però c’è stato anche fuori, io l’ho visto. Ci sono parole che sono entrate nel linguaggio comune, ci sono state delle modifiche all’ordinamento, nuove leggi e nuovi spazi politici in cui certe esigenze sono emerse. Certo, c’è ancora un bel po’ da fare. Io credo che in questo momento storico sia importante resistere, il progresso non è mai lineare. 

Nel tuo format “Tell Mama” dai delle risposte ironiche a delle questioni amorose. Perché secondo te le persone cercano risposte a quesiti così importanti da parte di sconosciuti?
Il format è nato proprio perché vedevo persone ovunque su Instagram dare risposte molto serie e belle a questioni intime che venivano poste loro dai follower, e mi sembrava surreale che ci si affidasse così a degli sconosciuti. Forse è il principio della psicoterapia? L’idea comunque è nata con lo scopo di dissacrare questi scambi così seri, utilizzando il ribaltamento tipico della comicità. In effetti ha avuto il suo seguito. Molte persone chiedono perché vogliono sentirsi dare una risposta inaspettata e non seria. Arrivano anche delle persone (sia su Instagram sia dal vivo, visto che ripropongo il format anche nei miei spettacoli) con delle condivisioni molto pesanti e private. Forse è parte del mio ruolo pubblico rappresentare una sorta di confessionale. E a volte penso “regà, ma mi vedete in faccia? Parlo di quello che ci vuole prova’ col salumiere”. Il mio obiettivo comunque non è tanto prendere in giro le varie poste del cuore, che non fanno niente di male, bensì prendere di mira quella maniera tradizionale di trattare le questioni di cuore, sempre condite da convenzioni. Chi deve chiedere il primo appuntamento? Chi può baciare per primo? Spesso molte dinamiche sono proprio la concretizzazione di stereotipi di genere, con i quali purtroppo tutti siamo cresciuti. 

Prima hai accennato al tuo spettacolo. Com’è incontrare le persone dal vivo e rompere la quarta parete? 
Vedere i teatri pieni, sentire il respiro di altre centinaia di persone in una stanza che sono lì a guardarmi è emozionante e inaspettato. Sono contento di essere stato in grado di portare il mio approccio ai social dentro uno spettacolo in cui c’è un dialogo con il pubblico. La quarta parete, quando faccio stand-up comedy, è la stessa che rompo da tempo creando un contenuto online o rispondendo a un messaggio.

Progetti per il futuro? Cosa sogni?
Ho molte idee, vorrei tornare ai podcast e scrivere ancora uno spettacolo, magari parlando un po’ più di me. Tra l’altro nei mesi di marzo, aprile e maggio è previsto un vero e proprio tour europeo (mi piace dirlo, mi fa sentire una pop star!) dello spettacolo. Saremo a Parigi, Barcellona, Berlino, Bruxelles e Londra. 

Fingi che io abbia una rubrica telefonica con il numero di tutte le persone del mondo e potessi dartene uno. Chi chiameresti?
Il numero di Britney Spears, per leggere i suoi stati su WhatsApp… secondo me i suoi “buongiornissimi” meritano!

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