Fearlessly Outspoken: Michele Bravi

Photography Alek Pierre
Styling Anna Pastore
Grooming Alfonso Origa
Photography Assistant Alice Miracola

DIGITAL COVER STORY

Michele Bravi wears total look Trussardi, earrings Eroine999

Interview Chiara Buoni

Se dovessi disegnare una mappa per rappresentare il tuo ultimo album La geografia del buio (2021), come sarebbe?
Sarebbe un labirinto senza uscita, ma non in senso negativo. Tutta l’idea geografica dietro al disco nasce da un messaggio da parte di Andrea Bajani, uno dei più grandi scrittori italiani di oggi, nel quale si leggeva: “La musica non salva da niente, però aiuta a disegnare il labirinto”. Non è detto che chi fa musica trovi la soluzione, però può dare modo alle persone di capire dove non andare, di evitare il vicolo cieco. Alla base del disco c’è un’idea di condivisione, di una mappa generale del labirinto da disegnare nel corso del tempo. Se tutti insieme componessimo la mappa, capiremmo che basta una sola strada per uscirne. 

Qual è il modo più adatto, sia dal punto di vista della scrittura del testo sia della melodia, per esprimere fluidità con la musica?
Quando parliamo di fluidità penso alla libertà non giudicante, quindi non c’è uno schema né nel testo né nella melodia per tradurla in musica. È un’espressione di sé, che delle volte è la cosa più difficile da portare fuori perché implica uno slalom tra le bugie bianche che raccontiamo a noi stessi. La musica fluida racconta le cose esattamente come stanno. Si tratta di essere elastici, comprensivi, capaci di ascoltare senza perdere la propria identità. È quanto cerco di sbriciolare nella mia musica. 

Come ricordi rispettivamente Sanremo 2017 (Il diario degli errori) e Sanremo 2022 (Inverno dei Fiori)?
Appartengono a due fasi diverse della mia vita, entrambe positive. Il primo Sanremo l’ho vissuto con la magia dell’ingenuità, perché non conoscevo nulla, invece la seconda volta ho partecipato con un senso di responsabilità maggiore. Quando sei consapevole di ciò che stai affrontando, è anche importante che la professionalità risulti più matura. Sanremo ci dà la possibilità di raccontare la nostra musica a tutta Italia, ed è un grande privilegio. Ogni volta che hai un progetto in cui credi veramente, poterlo cantare lì è incredibile. E poi, quello dello scorso anno era il Sanremo della ripartenza con il ritorno del pubblico all’Ariston: ricordo d’aver pensato che la cosa più importante in quel momento era poter cantare di fronte a un pubblico. È stato un messaggio importante e un attimo di respiro per la musica dal vivo.

Dalla vittoria a X Factor, hai fatto moltissime cose, dalla musica ai programmi in tv, dai podcast al cinema e il libro. Cosa emerge dallo sperimentare artisticamente queste varie forme di comunicazione? Qual è fra tutte l’esperienza che al momento senti più tua?
Non riesco a sceglierne una piuttosto che un’altra. Non è possibile per me farne scaturire la costruzione di una gerarchia. Ovviamente ci sono delle differenze da considerare sul piano tecnico, però tra tutte queste forme artistiche io vedo un punto in comune, cioè la capacità di rappresentare un vero esercizio all’empatia, la possibilità di calarsi nell’esistenza di qualcuno, capire come gli altri pensano e possono interagire con la tua vita. La mia preparazione è più solida sull’esperienza musicale, anche perché ci lavoro da parecchio tempo, però non c’è una cosa fra quelle di cui parli in cui mi sento fuori luogo. 

A proposito di cinema, hai co-scritto e cantato Antifragili, cioè la colonna sonora del film Disney Strange World – Un mondo misterioso, inoltre sei nel cast del film Amanda. Cosa significa scrivere una colonna sonora? E come hai vissuto l’esperienza sul set? 
Nello scrivere una colonna sonora, bisognerebbe esprimere il senso del film in pochi minuti. Quest’ultimo era su tematiche emotive vicine alle mie, di cui avevo già scritto e poterlo fare per Disney è stato un vero privilegio. Anche l’esperienza con Amanda è andata bene, prova del fatto che esiste una creatività giovane e fortissima nel cinema. La regista Carolina Cavalli ha scritto un soggetto estremamente francese, ironico e stravagante. Tutto è raccontato come una metafora entusiasta della stravaganza e poter essere uno dei volti di questi personaggi così colorati ed estrosi trovo sia stato un giusto debutto sul grande schermo. Il mio personaggio emotivamente è molto diverso da me, lo definirei anzitutto manipolatorio… però, per farti capire, anche lui nella disperazione diventa ironico: è uno spacciatore che parla del modo in cui guadagna soldi e poi della madre che gli compra lo shampoo alla fragola, di questo profumo che porta sempre addosso. 

Il tuo libro Nella vita degli altri (edito da Mondadori, 2018) è stato definito “una canzone da leggere a voce alta”. Perché?
È una definizione che ne diedi io in primis perché nasce davvero dall’idea di una canzone che non riuscivo a chiudere. Poi mi consigliarono di continuare a scrivere, di restare nel flusso. Quando alla fine mi sono reso conto che avevo detto tutto, ho capito che ne era venuto fuori un romanzo dove volevo raccontare quanto c’è di noi nella vita degli altri, del senso di interconnessione e intreccio umano sempre presente.

Quali sono i progetti per quest’anno?
Dietro le quinte ci sono diversi progetti in lavorazione. Al momento sono nella piena fase creativa di scrittura del disco nuovo, il cui concept è stato il risultato di un percorso di ricerca che mi ha portato a percorrere più strade, e adesso spero di stare percorrendo quella più adatta; mentre nel cinema sono in partenza le nuove riprese. 

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