Distinctive Sound: Tatum Rush

Photography Carola Blondelli
Styling Emi Marchionni
Grooming Salvino Palmeri @viacrispi49

Tatum @GDGpress

DIGITAL COVER STORY

Tatum Rush wears total look Antonio Marras

Interview Serena Palmese

Ciao Giordano, come stai? Partiamo dal tuo nome d’arte, dall’etimologia anglosassone del nome Tatum che sta ad indicare una persona allegra, gioiosa. Qual è il riferimento a questa scelta? C’è qualche tipo di collegamento col pianista jazz Art Tatum? O è solo un modo di sottolineare il tuo essere?
Sul mio certificato di nascita c’è scritto Tatum Giordano Rush. Tatum era inizialmente il mio primo nome, ma poi è stato invertito con il secondo pensando sarebbe stato un po’ troppo bizzarro in un contesto sia italofono che anglosassone, in cui viene usato più al femminile. Me ne sono quindi riappropriato quando era questione di scegliere un nome d’arte. Vengo dal Jazz quindi il fatto che Tatum facesse eco anche a un grande pianista ha rafforzato la scelta.

Ho riprodotto infinite volte Villa Tatum dal mio Spotify fino a consumarmi le dita. L’ho ascoltato ovunque fosse possibile, mi ha dato una bella botta di vita. È uno dei primi progetti in italiano, a seguito di tanti EP in lingua inglese con esibizioni importanti come quella al Montreux Jazz Festival e all’Eurosonic Festival. Le tue origini sono variegate, con diverse tradizioni musicali; il tuo è un pop contemporaneo che si intreccia con influenze R&B e disco chic. Come mai l’opzione dell’italiano come scelta linguistica? Foneticamente come credi si sposi con la tua musica così cosmopolita e caleidoscopica?
Prima dell’italiano ho scritto per un buon periodo in inglese, passando anche da tentativi in altre lingue come il francese, il portoghese e lo spagnolo. L’artista che mi ha illuminato sul fatto che l’italiano potesse essere una lingua foneticamente e stilisticamente interessante è stato sicuramente Pop_X, attraverso la sua totale libertà quasi dadaista di usare il linguaggio. Da un altro lato sono sempre stato molto ispirato dalle registrazioni e dai film di Carmelo Bene e da come faceva suonare la sua lingua. Conoscevo anche la bellezza delle melodie e delle parole di Carosone o Claudio Villa, ma era più difficile immaginarsi una modernizzazione. Fin dal mio primo testo in italiano ho capito che le immagini e le atmosfere hanno il potere di diventare molto più nitide che con l’inglese

Le tue melodie mi ricordano molto i Nu Genea e tutto il mondo che ci gira attorno, come anche il progetto di Napoli Segreta, DADA’ e Capinera. Ogni tuo brano ha una sezione ritmica predominante e ben definita combinando la voce e le belle dinamiche del cantato; come se questa stessa fungesse da strumento perfettamente dinamico col resto, dai vita a un groove invidiabile, garantendo sempre un grande equilibrio di volumi. Non ti preoccupano i grandi incisi né i vocalismi da sopravvento. Qual è il segreto delle tue produzioni? Come fai a tenere tutto in piedi senza eccedere in virtuosismi inutili?
Forse è grazie a vari anni nel mondo del jazz, che mi hanno in qualche modo insegnato il valore dell’apparente semplicità e, in alcuni casi, la volgarità e l’inutilità del virtuosismo. Mi viene in mente un’intervista a Marcel Duchamp in cui si difendeva per l’aver smesso di dipingere. Diceva che lo aveva fatto per non cadere nell’atto automatico del dipingere, aggiungendo che la maggior parte dei pittori suoi contemporanei dipingevano soprattutto perché erano dipendenti dall’odore di una certa sostanza presente nella pittura a olio. Una specie di provocazione, ma penso che il nocciolo del suo discorso sia che è più importante lavorare sul potere intenzionale piuttosto che sulla forma, e in questo senso il virtuosismo appartiene alla forma, quindi alla distrazione dall’intenzione. 

Parliamo dell’immaginario all’interno dei tuoi videoclip. Anche qui emerge distintamente ancora una volta l’anima originale e sfaccettata di Tatum Rush. Se penso al video di Valentina tutta la scena si muove su ritmi latini in cui chitarre acustiche a cento all’ora incontrano sintetizzatori analogici, trasportandoci in un immaginario fatto di tramonti dorati, calici di sangria e danze libere sulla spiaggia. O quello di Too Late in cui ti vediamo correre sulla spiaggia di Rio de Janeiro, con capelli ossigenati e occhiali futuristici. L’ispirazione è un po’ quella da Italy segreta, ma molto anni Settanta, tutto “pastellato” alla Ghirri ma più fumoso. Come si erge la scelta musicale rispetto ai video? Come parte di solito il processo creativo per la produzione del visivo?
Quando decido che si farà un video vuol dire che mi sono accorto che un certo brano comincia a prendere vita propria. Dopodiché si innesca un processo che farebbe paura a qualsiasi label, dove girare un clip diventa una piccola impresa eroica e una personale ossessione, come Herzog con “Fitzcarraldo”, dove spesso lo sforzo e le risorse investite superano di gran lunga i piani iniziali, ma questo solo per amore dell’arte. La preparazione a un video può durare dei mesi, in cui scrivo e riscrivo ogni scena, dettaglio, costume, referenza a questo film o a quella pittura. A un certo punto si aggiungono alla macchina un gruppo fidato di registi e direttori della fotografia, specificamente Theodor Guelat e Gianluca Oliva. Per fare l’ultima clip a Rio de Janeiro ci siamo quasi fatti sparare e abbiamo quasi perso 4 kili di bobine girate sotto i raggi x di un aeroporto… insomma, girare i miei video è un po’ uno sport da combattimento. 

Il tuo progetto dà l’idea di qualcosa di molto ibrido, nelle parole e nell’attitudine. Una musica molto fluida anche nella simbologia (sia dell’immaginario sia del cantato), che non ha bisogno di essere machista per affermarsi. È così? Cosa significa per te essere e sentirsi fluidi?
L’urgenza di proporre il mio personale linguaggio artistico mi ha sempre portato a interrogarmi sul mio ruolo, la mia maschera, e su quali idee e valori anche nascosti può veicolare il profilo che decido di esporre. Essere artisti credo voglia dire anche essere coscienti del proprio ruolo e della propria identità, e mi è sempre interessato l’ibrido perché è sia un punto di partenza che di arrivo. Dall’ibrido si può giocare con il linguaggio dell’eccesso, con la molteplicità di senso e con la più grande libertà di espressione. Di machismo mi sono interessato come fosse un elemento teatrale, gioca un ruolo nella pièce. Parlando da regista di questo spettacolo musicale che porto avanti, essere fluidi vuol dire essere capaci di comprendere tutti i punti di vista, di riconoscere le qualità di tutti gli attori in gioco, e di reinventarsi costantemente.

Il cambiamento è diventato il mito della moderna società liquida. Chi non si adatta al cambiamento perché lento, perché vorrebbe “radici” più solide, è percepito come sbagliato. Chi non vuole il cambiamento è un individuo che rema contro. Tu hai l’abitudine di non mettere mai radici, come se il tuo io più profondo sentisse sempre la necessità di ritirarsi in altri altrove, alla continua ricerca di scoperte o conferme. Quanto ha contato la “formazione da nomade” sul tuo modo di essere e sulla tua scrittura? E poi, tutta questa apologia del cambiamento è veramente funzionale al nostro benessere?
Il mio essere nomade è un modo di conservare il grado massimo di piacere nell’essere in un determinato luogo. Mi viene spessissimo voglia di essere in un altro posto rispetto a quello in cui sono, ma è una sensazione piacevolissima. Forse sta alla radice della mia scrittura musicale, che attinge a quell’emozione di felicità con una punta di malinconia quando si pensa a un luogo in cui sei stato felice. Il cambiamento è un metodo per stare bene come un altro, non penso esista un’unica soluzione per il raggiungimento del benessere. E poi penso che il cambiamento più drastico di cui siamo capaci sia quello più impercettibile: è quello del punto di vista, non della posizione geografica.

Come vedi l’attuale panorama italiano musicale? E come trovi l’empatia del pubblico italiano rispetto a quella di altri?
Rispetto a un panorama più amorfo e sfuggente come quello europeo, ho trovato nel panorama musicale italiano un porto molto accogliente e dotato di un’energia unica, che raramente ho trovato altrove. In Italia ho vissuto i momenti più particolari con il pubblico, momenti di osmosi e delirio. 

Nel brano Dalla canti del vivere una notte che vale per mille a ritmo di disco music. Nell’ultima notte felice del mondo tu su quale pezzo balleresti?
Ballerei su un mambo di Yma Sumac.

X